VI Domenica di Pasqua

Parola di Dio

At 10,25-27.34-35.44-48: Anche sui pagani si è effuso il dono dello Spirito Santo
Sal 97: R. Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia
1Gv 4, 7-10: Dio è amore
Gv 15, 9-17: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici

 

Commento

Il tempo pasquale continua a farci entrare sempre più nel mistero della Pasqua del Signore: un cammino di interiorizzazione perché il mistero celebrato in unità nel Triduo santo venga accolto in tutta la sua forza ricreatrice per la vita della Chiesa e dell’umanità. La VI domenica del Tempo di Pasqua è caratterizzata principalmente dal tema del comandamento dell’amore che troviamo nel brano evangelico (Gv 15,9-17), tratto, come la domenica precedente, dal discorso di addio nel Vangelo di Giovanni. Nella prima lettura (At 10,25-27.34-35.44-48) l’apostolo Pietro assiste al dono dello Spirito Santo sulla famiglia del pagano Cornelio, episodio che segna l’apertura dell’annuncio del Vangelo a tutte le genti. Nella seconda lettura (1Gv 4,7-10) viene ripreso il tema del comandamento dell’amore.

Il discorso che troviamo nel Vangelo di Giovanni appare forse piuttosto articolato e di non facile comprensione: frasi dense, belle e note espressioni, ma difficili da cogliere nel loro reciproco legame.

Il brano inizia con un’affermazione che porta in sé condensato tutto il suo messaggio: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9), oppure ricalcando il greco: «nell’amore che è a me, che mi appartiene». In questa espressione ritroviamo il mistero del rapporto tra la vite e i tralci (Gv 15,1-8) sul quale la liturgia si è soffermata la domenica precedente. Che cosa significa questo primo versetto? Innanzitutto ritroviamo tre protagonisti, tra i quali c’è un “flusso” d’amore: Gesù, il Padre, i discepoli. In questa relazione c’è un amore fontale, quello tra il Padre e il Figlio, che sta alla base, all’origine dell’amore tra il Figlio e i suoi discepoli. Gesù ha amato i suoi come lui è stato amato dal Padre e i suoi discepoli sono chiamati a rimanere in tale amore.

Ma quali sono i tratti di questo amore? Come si esprime un tale amore? Il Vangelo di Giovanni mostra che rimanere nell’amore di Gesù consiste nell’osservare, si potrebbe anche tradurre nel «custodire», i suoi comandamenti. Sono verbi che toccano nel vivo la vita della Chiesa nel tempo dell’assenza e dell’attesa dello sposo: rimanere, osservare, custodire.

In un primo momento un tale linguaggio – «osservare» i comandamenti – potrebbe stupirci o farci considerare il fatto cristiano come un qualcosa di legato al legalismo, alla pura osservanza di norme. È questo il messaggio di Gesù che il Vangelo di Giovanni ci vuole trasmettere? È possibile che venga chiamata «amore» l’osservanza di comandamenti e di norme? Come potrebbe essere fonte di gioia piena una tale osservanza? Qual è quel comandamento, osservando il quale, il discepolo del Signore può rimanere nell’amore? «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi» (Gv 15,12). Gesù non indica delle norme da adempiere per rimanere nel suo amore, ma un modello da incarnare dal quale non allontanarsi. Il comandamento che il discepolo deve custodire per rimanere nell’amore di Gesù è quello dell’amore vicendevole, che ha come modello e fonte l’amore di Gesù per i suoi discepoli. È una tradizione d’amore che va dal Padre a Gesù e da Gesù ai suoi discepoli.

Il volto dell’amore con il quale Gesù ha amato i suoi discepoli è il volto della sua vita donata, della sua Pasqua nella quale ha «detto tutto» il suo amore per gli uomini, ha rivelato ciò che ha udito dal Padre, e l’amore con il quale il Padre da sempre lo ama. Nella vita donata ai discepoli ha mostrato il volto dell’amore secondo Dio: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15).

Il «come» iniziale non indica tanto in Giovanni un paragone tra due realtà simili, ma indica la provenienza, la fonte, l’origine di una realtà: i discepoli di Gesù rimarranno nel suo amore se sapranno custodire la comunione, la continuità con l’origine dell’amore che è la Pasqua del Signore e in ultimo il Padre stesso.

Questo è un altro aspetto della Pasqua del Signore che la liturgia celebra nella cinquantina pasquale: la fonte dell’amore, manifestato da chi ci ha scelti e amati per primo, come afferma la seconda lettura. In Gesù ogni uomo e ogni donna, possono entrare nell’amore, in quella relazione che unisce il Padre e il Figlio, grazie al dono dello Spirito, che apre strade nuove e inattese davanti ai passi dei suoi discepoli. È l’esperienza che Pietro stesso racconta con le sue parole nella prima lettura: «In verità sto rendendomi conto che Dio (…) accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (At 10, 34-35).