Domenica di Pasqua

Resurrezione del Signore

VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA

 

Parola di Dio

Gen 1,1–2,2: (forma breve 1,1.26-31) Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona
Sal 103: Rit. Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra o Sal 32 Rit. Dell’amore del Signore è piena la terra
Gen 22,1-18: (forma breve 22.1-2.9a.10-13.15-18) Il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede
Sal 15: Rit. Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio
Es 14,15–15,1: Gli Israeliti camminarono sull’asciutto in mezzo al mare
Es 15,1b-6.17-18: Cantiamo al Signore: stupenda è la sua vittoria
Is 54,5-14: Con affetto perenne il Signore, tuo redentore, ha avuto pietà di te
Sal 29: Rit. Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato
Is 55,1-11: Venite a me e vivrete; stabilirò per voi un’alleanza eterna
Is 12,2.4-6: Rit. Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza
Bar 3,9-15.32–4,4: Cammina allo splendore della luce del Signore
Sal 18: Rit. Signore, tu hai parole di vita eterna
Ez 36,16-17a.18-28: Vi aspergerò con acqua pura e vi darò un cuore nuovo
Sal 41: Rit. Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio o Is 12,2-6 Rit. Attingeremo con gioia alle sorgenti della salvezza o Sal 50 Rit. Crea in me, o Dio, un cuore puro
Rm 6,3-11: Cristo risorto dai morti non muore più
Sal 117: Rit. Alleluia, alleluia, alleluia
Mc 16,1-7: Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto

 

Commento

La liturgia della Parola della Veglia pasquale ha un carattere di esemplarità. Dalle letture della notte di Pasqua ogni altra proclamazione della Parola nelle celebrazioni liturgiche trae senso e ispirazione. Nella Veglia, accanto all’ambone, luogo della proclamazione della Parola, splende il cero pasquale, alla luce del quale la Chiesa leggerà le Scritture sante in questa celebrazione, ma anche per tutto il tempo di Pasqua fino al compimento della Pentecoste. Così alla luce di Cristo le Scritture vengono lette e interpretate, a partire dalla creazione fino all’annuncio del dono di un cuore nuovo da parte di Ezechiele profeta e alla narrazione della scoperta della tomba vuota nel brano evangelico. In questo cammino si inserisce anche l’oggi della Chiesa e dell’umanità che vede realizzarsi nel presente della celebrazione ciò di cui fa memoria e ciò che attende.

Nella liturgia della Parola della Veglia troviamo tutte le sfumature e le forme in cui la Parola di Dio si è comunicata e si comunica all’umanità: nella Torà (Genesi, Esodo), nei Profeti (Isaia, Baruc, Ezechiele), negli Scritti (Salmi), nel Nuovo Testamento (Lettera ai Romani e Vangelo).

I due passi del Nuovo Testamento costituiscono il punto di arrivo e il culmine della liturgia della Parola della Veglia. L’annuncio della risurrezione del Signore secondo Marco (Mc 16,1-7) presenta l’evento della tomba vuota nella maniera sconvolgente propria del Secondo Evangelista. L’omissione del v. 8 purtroppo toglie al brano evangelico quella drammaticità e quella sospensione che caratterizza il racconto marciano: «[Le donne] uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (Mc 16,8). Quel Gesù che ha sempre camminato avanti ai suoi discepoli, mostrandosi come un Signore inafferrabile che ci conduce sempre oltre, ora «precede» ancora una volta i suoi in Galilea per iniziare con loro un nuovo cammino.

Se il testo evangelico annuncia l’evento della risurrezione del Signore, il brano della Lettera ai Romani (Rm 6,3-11), facendo riferimento al Battesimo, ci annuncia che cosa c’entra con la vita del credente quell’evento. Anche noi siamo «con-sepolti» con Cristo, per essere con lui risuscitati. Paolo ci invita a leggere la Pasqua di Gesù come un fatto che ci riguarda.

Ripercorrendo la liturgia della Parola a ritroso troviamo quattro letture profetiche: una di Ezechiele, una di Baruc e due di Isaia. Il passo di Ezechiele (Ez 36,16-28), culmine di questa seconda serie di letture, si situa in un contesto di rinnovamento che raggiunge l’uomo fin nel suo intimo. Il prologo storico (vv. 17-19) ci parla di una storia di peccato e di ribellione. Di fronte a questa storia Dio non agisce mosso dal peccato, ma per santificare il suo nome. Siamo davanti al liberante annuncio della assoluta gratuità dell’agire di Dio (cf. Rm 5,8). Questo testo di Ezechiele diviene manifestazione del senso della Pasqua come azione gratuita di Dio, che sempre si rinnova nella storia nonostante il peccato e l’infedeltà degli uomini.

Poi abbiamo una terza parte della liturgia della Parola, che potremmo intitolare: le notti di Dio (cf. il Poema delle quattro notti nel Targum di Es 12). Qui troviamo, andando sempre a ritroso, il passaggio del Mar Rosso (Es 14,15-15,1), la prova di Abramo (Gen 22,1-18), la creazione (Gen 1,1-2,2). Si va dalla liberazione alla creazione.

Innanzitutto troviamo l’annuncio di un Dio che libera e salva (III lettura). L’evento del passaggio del mare avviene perché è opera di Dio: questo è uno dei messaggi principali del testo. Non è Israele che combatte e vince il suo avversario, ma qui il popolo è spettatore di un Dio che combatte per lui.

Nel brano della prova di Abramo (II lettura) troviamo il tema della promessa di Dio, che riguarda non solo la vita del Patriarca, ma anche dell’intero popolo di Dio. Siamo al termine del cammino di Abramo, quando al Patriarca viene chiesta la vita del figlio «amato». I Padri della Chiesa hanno spesso riletto questo testo alla luce della morte di Gesù.

Infine abbiamo il racconto della creazione (I lettura). A questo punto è chiaro che non possiamo leggere questo testo nella Veglia pasquale senza pensare alla nuova creazione che è stata inaugurata dalla pasqua di Cristo. Non dimentichiamo che il primo giorno dopo il sabato è anche il giorno in cui Dio ha dato inizio alla creazione, separando la luce dalle tenebre. Nella creazione è il sogno di Dio, la nuova creazione in Cristo, che viene annunciata all’assemblea liturgica radunata per la Veglia di Pasqua.

Nel canto dell’Exultet, che apre la celebrazione della Veglia, si ricorda un fatto singolare della fede cristiana. Questa notte è la sola che ha conosciuto i tempi e l’ora in cui Cristo è risorto. Nessuno dei Vangeli, infatti, ci narra la risurrezione di Gesù. Il centro della nostra fede non è stato descritto da nessuno: solo questa notte ne custodisce per noi il mistero. In essa ognuno può diventare testimone oculare di ciò che occhio non vide né orecchio udì (1Cor 2,9).

 

DOMENICA DI PASQUA
RISURREZIONE DEL SIGNORE

 

Parola di Dio

At 10,34a.37-43: Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti
Sal 117: Rit. Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo oppure Alleluia, alleluia, alleluia
Col 3,1-4: Cercate le cose di lassù, dove è Cristo oppure 1Cor 5,6b-8 Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova
Gv 20,1-9: Egli doveva risuscitare dai morti (nella Messa del giorno)
Lc 24,13-35: Resta con noi perché si fa sera (nella Messa vespertina)

 

Commento

Nella celebrazione del giorno di Pasqua troviamo come brano evangelico la scoperta del sepolcro vuoto il primo giorno dopo il sabato nel Vangelo di Giovanni (Gv 20,1-9). Gli altri testi della liturgia della Parola di questo giorno sottolineano alcuni aspetti del mistero che si celebra. Il brano degli Atti degli Apostoli (At 10,34a.37-43) riporta il quinto discorso di Pietro nel quale l’apostolo ripercorre la vita di Gesù che passò facendo del bene e risanando. Pietro lega gli eventi pasquali all’intera esistenza di Gesù a partire dal battesimo predicato da Giovanni. I discepoli che hanno vissuto con Gesù non sono solo testimoni della sua risurrezione, ma della sua intera esistenza. In questo modo viene sottolineato come tutta la vita di Gesù è stata segnata dalla logica pasquale del dono di sé. Nella Lettera ai Colossesi (1Cor 5,6-8) si proclama che la risurrezione del Signore è ormai un fatto che riguarda la vita di tutti i credenti, che sono «risorti con Cristo» (Col 3,1). Questa realtà illumina di luce nuova la loro esistenza e deve segnare concretamente la loro vita. In fondo nella prima e nella seconda lettura si proclama che come la realtà della Pasqua ha segnato l’intera esistenza terrena di Gesù, così deve anche trasformare ed illuminare quella dei cristiani.

Non dobbiamo leggere il brano evangelico come una cronaca di ciò che avvenne il giorno della risurrezione del Signore, bensì come un itinerario di fede verso l’incontro con lui che i discepoli di ogni tempo possono e devono vivere. Protagonisti di questo itinerario di fede sono Maria Maddalena, la prima testimone della tomba vuota, Pietro e il discepolo che Gesù amava.

Il primo tratto dell’itinerario di fede che il brano evangelico vuole farci compiere è affidato alla figura di Maria Maddalena. Essa si reca al sepolcro spinta dal legame che aveva con il Maestro defunto. È ancora buio e siamo nel primo giorno della settimana, il primo giorno della creazione. Per la prima volta troviamo nel testo il verbo vedere [blepo], che nel Vangelo di Giovanni appartiene al vocabolario della fede. Questa sguardo di Maria, avvolto dal buio esteriore ed interiore nel quale essa si trova, è un modo di guardare che sta ancora all’inizio del cammino di fede. Lo sguardo di Maria è ancora segnato da «una visione materiale, una visione che non comprende» (B. Maggioni). Maria non entra nemmeno nel sepolcro, ma va a dare l’annuncio ai discepoli. La sua incomprensione emerge dalle parole che rivolge ai discepoli: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro» (Gv 20,2).

Alle parole di Maria, Pietro e il discepolo amato corrono alla tomba. I due discepoli corrono al sepolcro e uno dei due, il discepolo amato, corre più forte di Pietro e raggiunge per primo la tomba. Egli tuttavia non entra, ma si china e vede. La sua esperienza è simile a quella di Maria Maddalena: il testo greco usa lo stesso verbo. Tuttavia egli vede qualcosa di più di Maria: si avvicina alla tomba vuota, si china e vede le tele che ricoprivano il cadavere del Signore.

Poi alla tomba giunge anche Pietro. Egli, a differenza dell’altro discepolo, entra nella tomba e vede [theoreo] le bende e il sudario. In questo caso non si usa più lo stesso verbo che abbiamo trovato a proposito di Maria e del discepolo amato. Si tratta di un verbo che indica qualcosa di diverso rispetto a quello usato nei casi precedenti. Non siamo ancora alla meta del cammino, «non è ancora lo sguardo della fede, ma è pur sempre uno sguardo attento, che suscita il problema e rende perplessi» (B. Maggioni).

Infine, entra anche l’altro discepolo. Egli entra, davanti ai suoi occhi trova le stesse cose che vide Pietro, ma di lui si dice che vide (orao) e credette, oppure, potremmo anche dire, «vedendo credette». Qui si usa un terzo verbo che indica la vista, il verbo greco orao. Questo verbo indica «il vedere penetrante di chi sa cogliere il significato profondo di ciò che materialmente appare» (B. Maggioni).

Usando questi verbi diversi per indicare l’unica esperienza del vedere è come se l’evangelista Giovanni volesse indicarci appunto un itinerario di fede. Ci sono personaggi differenti tra loro, che vedono in modo differente anche a seconda della loro vicinanza alla tomba vuota: solo quando entra nel sepolcro vuoto il discepolo che Gesù amava riesce ad avere lo sguardo della fede. Ciò che i discepoli fanno non è altro che l’esperienza di un grande vuoto, l’esperienza di una assenza. Vedono solo i segni dell’assente. Ma entrando nella profondità di quel vuoto e di quell’assenza, lo sguardo può divenire capace di vedere veramente il senso di ciò che è accaduto.

Ma non possiamo dimenticare un altro particolare decisivo: colui che arriva allo sguardo della fede non è, per ora, né Maria Maddalena – di lei il Vangelo di Giovanni parlerà più avanti – né Pietro, bensì quel discepolo senza nome che viene chiamato il discepolo che Gesù amava. Non bastano i segni dell’assenza, occorrono gli occhi dell’amato per arrivare allo sguardo della fede.

L’assemblea liturgica nel giorno di Pasqua è invitata a compiere lo stesso itinerario di fede del discepolo amato per giungere ad uno sguardo che sa penetrare il mistero dell’assenza e del vuoto per arrivare ad una visione diversa della realtà e alla fede. E’ in una conversione dello sguardo alla luce della risurrezione che la liturgia pasquale ci invita ad entrare sulle orme di Maria, Pietro e quel discepolo che Gesù amava.